ATTO COSTITUTIVO DI TRUST E TRASCRIZIONE NEI REGISTRI IMMOBILIARI
TRIBUNALE DI PISA Decr. 27 dicembre 2001. Pres. ed est. Borri – Ríc. Muritano. –
TRIBUNALE DI PISA
Decr. 27 dicembre 2001. Pres. ed est. Borri – Ríc. Muritano.
Trascrizione – Atti soggetti – Atti relativi a beni immobili – Atto costitutivo di trust – Trascrivibilità senza riserva – Legittimità.
In mancanza di úna disposizione espressa o di un principio dal quale dedurre un divieto di trascrizione, è trascrivibìle senza riserva l’atto costitutivo con cui si vincola un bene immobile in trust. (L. 16 ottobre 1989, n. 364; c.c., art. 2647) (1).
(1) In argomento, v. Trib. Bologna, decr: 28 aprile 2000, in questa Rivista 2000, 610, secondo cui l’atto costitutivo di trust in relazione a beni immobili è soggetto a trascrizione nei pubblici registri immobiliari, posto che gli effetti di tale atto rientrano tra quelli considerati dal legislatore ai sensi degli artt. 2643 n. I e 2645 c.c.
(Omissis). IN FnT-m. – Il notaio Daniele Muritano, ottenuta la trascrizione con riserva di un atto di istituzione di trust da lui ricevuto, chiede che la riserva venga eliminata, sostenendo la piena.trascrivibilità dell’atto stesso in Italia ai sensi della Convenzione de L’Aja dell’1 luglio 1985, ratificata con L. 16 ottobre 1989 n. 364, ormai in vigore da molti anni.
Il ricorso risulta depositato nel termine di cui all’art. 113 ter DA.
L’Agenzia del territorio resiste prospettando ragioni ostative attinenti sia all’istituto di trust che alla normativa sulla pubblicità immobiliare.
L’atto di discussione, prodotto in copia, risulta posto in essere da una cittadina italiana residente in Italia, che ha incaricato ed impegnato sè stessa a gestire in Italia un trust avente ad oggetto un bene immobile sito in Italia, conservato nella proprietà di lei medesima, ma destinato al soddisfacimento delle esigenze dei fratello di lei, a sua volta cittadino italiano residente in Italia. Per dichiarazione espressa della disponente (punto 8 del fatto: «Legge regolatrice del trustO, «Il trust è regolato dalla legge inglese». –
IN DIRITTO. – La particolarità del caso è rappresentata dalle circostanze sopra elencate, che rendono l’atto in discussione italiano sotto tutti gli aspetti, escluso soltanto quello della legge regolatrice, é palesemente non in linea con principi tradizionali e sanciti in tema di responsabilità patrimoniale, primo fra tutti quello dell’art. 2740 c.c. È questo infatti uno dei principali argomenti utilizzati dalla resisten
te, ed è forse questa la ragione per la quale le parti precisano che non vi sono precedenti in termini, in effetti non rinvenuti dal tribunale, mentre è pacifico che sono stati presentati per la trascrizione e sono stati anche trascritti in Italia atti istitutivi di trust comportanti trasferimento dei beni assoggettati al vincolo.
In effetti, sono palesi le difficoltà di coordinamento e di armonizzazione con parecchie norme di legge italiane, se si considera che, secondo lo schema più diffuso nei Paesi che regolano l’istituto, modellato sulla elaborazione anglosassone nella specie esplicitamente richiamata, con la imposizione del vincolo di trust i beni divengono, con riferimento alla persona del loro titolare: insequestrabili; sottratti a pignoramento e fallimento; insensibili al regime matrimoniale e successorio (art. 11 Conv.). Ma queste difficoltà si producono in relazione a qualsiasi trust e così l’argomento che se ne vuol trarre, anziché dimostrare l’inammissibilità di una fattispecie singolare, finisce con l’annullare sè stesso ponendosi in totale conflitto con la norma di legge e relega l’ascritta singolarità nell’ambito di una mera suggestione. La separazione o, come si dice più spesso e anche nell’atto in esame, la «segregazione» dei beni dal patrimonio del loro titolare è dato caratteristico e qualificante di ogni trust, sicché l’art. 2740 e le altre norme invocate precluderebbero l’esistenza giuridica per il nostro ordinamento di qualsiasi trust, mentre c’è la legge di ratifica che sancisce il contrario, facendo eccezione soltanto in relazione all’ordine pubblico (nel senso ristretto dell’art. 18 Conv.) e a determinate categorie di esigenze, specificamente elencate nella stessa Convenzione ratificata (art. 15). Ne consegue che, pur foriero di problemi giuridici e pratici tutt’altro che trascurabili, il trust «internazionale» va riconosciuto dal nostro ordinamento in generale, senza distinguere se i beni siano del disponente o meno e se vi sia contestuale trasferimento dal primo al secondo, il che non è imprescindibile neppure se i due soggetti sono distinti. Sembra più agevole una simile conclusione quando vengono in gioco persone o beni stranieri, ma alla luce della normativa specifica non possono farsi tali distinzioni, e non si saprebbe neppure quali considerare discriminanti, fra le tante variabili possibili.
È ugualmente suggestiva la trasposizione delle difficoltà sul piano della normativa pubblicitaria, ed anzi in pratica su questo piano vi saranno ben poche occasioni in cui emergano problemi in sede di trascrizione, perché verrà trascritto l’atto di trasferimento ed esso costituirà il veicolo per introdurre nei registri anche menzione del regolamento del : trust, risultato dei quale ci si accontenterà e che è indubbia- : mente già auspicabile sia nell’interesse del trust stesso, sia dei terzi. Ma il problema della trascrivibilità in sè (dell’atto costitutivo) del vincolo di trust rimane, non ontologicamente diverso anche in quei casi più comuni, perché si tratta della pubblicità (dell’atto costitutivo) del vincolo non nei – confronti dell’eventuale autore di un trasferimento o costituzione di diritti reali, bensì nei confronti di colui che risulterà titolare del bene o diritto, non importa se per effetto del trasferimento o per conservazione della titolarità pregressa.
È di immediata percezione e pacifico, quindi da accennare soltanto, che l’atto qui in esame delinea per iscritto un trust volontario con gli elementi caratterizzanti indicati dalla Convenzione (artt. 2 e 3), e dunque la fattispecie è di massima compresa nel regolamento convenzionale (art. 1). II trust, senza eccezione per questo tipo di trust, è previsto dall’ordinamento inglese esplicitamente invocato (artt. 5, 6; vi è anzi chiara traccia di un principio di favor negli artt. 6, 7, 14); non si identificano (ammesso che rilevino in sede di trascrizione e non occorrano appositi giudizi) motivi di invalidità dell’atto costitutivo in sè considerato, posto che anch’esso è soggetto non alle regole italiane ma a quelle inglesi (art. 8) e non risulta confliggente con esigenze ostative (art. 15). Dunque, questo specifo trust deve considerarsi «riconosciuto» in Italia, in virtù di quell’unico ma espansivo elemento di estraneità all’ordinamento italiano che è rappresentato dai richiamo alla legge inglese. Riconoscimento significa nel mondo giuridico attribuzione degli effetti, in ordine ai quali convenzione e legge di ratifica non pongono limiti al di là di quelli già accennati.
La Convenzione, oltre al riconoscimento dei ti-usi cosiddetti «internazionali», non introduce e non obbliga gli Stati contraenti ad introdurre negli ordinamenti interni la previsione ed il regolamento nazionale dell’istituto del trust; all’art. 12, con norma che, si ricorda; è anch’essa legge dello Stato italiano, attribuisce però (si segue la traduzione ufficiale) al «trustee che desidera registrare i beni mobili o immobili, o i documenti attinenti… facoltà di richiedere la iscrizione nella sua qualità di trustee o in qualsiasi altro modo che riveli 1’esitenza del trust, a meno che ciò non sia vietato o sia incompatibile a norma della legislazione dello Stato nel quale la registrazione deve aver luogo». Dove le parole «registrazione» e «iscrizione» indicano qualunque tipo previsto di pubblicità, secondo una interpretazione pressoché unanime basata sulla provenienza di uno dei termini dal francese, che in relazione a quell’ordinamento non distingue la trascrizione; ne è conferma l’uso fungibile dei due termini, il riferimento fungibile ai beni mobili o immobili o ai documenti, l’indeterminatezza esplicita delle modalità.
Non sembra contestabile che la «facoltà» sostanzi un diritto potestativo, al quale deve corrispondere un obbligo dei soggetti deputati alla pubblicità. È invece discusso che la norma valga ad istituire un regime di trascrizione (facoltativa, per definizione) del trust in Italia. Dal punto di vista della Convenzione, si tratta di un problema che può atteggiarsi differentemente ma senza differenze logiche riguardo a ciascuno Stato firmatario. L’apertura a tutti i passibili oggetti e modi, espressa nell’art. 12, mostra chiaramente che la Convenzione, e di conseguenza la legge di esecutività, intende utilizzare, adattandosi, tutti i possibili sistemi di pubblicità, non istituire un sistema comune, neppure minimo, del quale oltretutto dovrebbe fornire qualche lineamento, invece assente. Dovrebbe disegnare una disciplina minima, proprio perché i diversi ordinamenti non coincidono quanto ad estensione, oggetto e modalità della pubblicità, tanto vero che proprio in Italia essa ha una estensione modestissima al di fuori della materia immobiliare ed offre quindi al trust e contro di esso un presidio decisamente insufficiente.
Ma, pur seguendo l’interpretazione riduttiva che attribuisce alla norma dell’art. 12 la funzione di abilitare il trustee ad accedere alle sole forme di pubblicità esistenti nei singoli Paesi, appare forzato negare che essa integri almeno la semplice previsione di una nuova fattispecie ammessa alla registrazione nei limiti degli istituti presenti negli ordinamenti interni, così aprendo la via per insediare anche il trust nel mondo chiuso della pubblicità come esitente in Italia. Questa osservazione risulta di importanza decisiva per chi intenda il sistema pubblicitario italiano governato da criteri di rigorosa tassatività; è a maggior ragione efficace, se tale rigore si neghi, o se ne riconosca il superamento.
È vero che il legislatore, via via che crea o prende in considerazione nuovi istituti, usa disporre con norme espresse la relativa eventuale estensione della pubblicità (e questo sembra aver fatto rendendo applicabile in Italia l’art. 12); ma la linea di tendenza segnata da tante innovazioni del
genere è quella di un progressivo superamento delle categorie delimitanti l’ambito della pubblicità, se tassatività vi sia stata originariamente. Si supera il corollario della personalità giuridica e persino di una qualunque soggettività (fallimento, fondo patrimoniale), si supera il corollario dei diritti reali (locazioni ultranovennali, assegnazione dell’abitazione nella separazione e nel divorzio, fondo patrimoniale) e di qualunque vero diritto (vincoli sulla proprietà: v. art. 18 comma 7 L. n. 47/8S). Opporre la tassatività al trust risulta quanto meno anacronistico, in presenza di una disposizione come l’art. 12.
Quanto ai limiti interni alla norma, è evidente che non c’è disposizione espressa né principio dal quale dedurre un divieto di trascrizione del trust, dato che, una volta riconosciuto l’istituto, la pubblicità – qualunque ne sia l’effetto – realizza prima di tutto un interesse dei terzi, generale e convergente con l’interesse pubblico. Altrettanto arduo è individuare ragioni di incompatibilità, specialmente considerando quanto affine sia c in quante affini maniere possa manifestarsi l’istituto del fondo patrimoniale, la cui fonte negoziale è soggetta in ogni caso, ove si tratti di immobili, a trascrizione per espressa norma dell’art. 2647 c.c. La fattispecie sostanziale del fondo patrimoniale, con la segregazione di alcuni beni e la successiva possibilità di aggiungerne altri in un vincolo di destinazione, senza necessità di trasferimenti, è estremamente affine a quelle del trust la sua disciplina pubblicitaria, sebbene meglio espressa senza la genericità di uno strumento multinazionale, è sostanzialmente corrispondente a quella dell’art. 12 Conv.: prevede soltanto la trascrizione indiscriminata, senza curarsi di precisarne le modalità.
Non sembra che problemi di natura semplicemente organizzativa ed attuativa possano paralizzare l’applicazione di una legge. In ogni caso, non possono essere addotti addirittura come ragioni di incompatibilità di quella legge con l’ordinamento dello Stato. Tali ragioni, anche senza una riserva esplicita, avrebbero dovuto creare altrettante resistenze alla trascrizione del fondo patrimoniale (o più precisamente del suo atto costitutivo), dalla quale invece si trae la migliore conferma della compatibilità della trascrizione del trust ed anche una estensibile indicazione circa le modalità della medesima.
Deve pertanto accogliersi il reclamo. (Omissis).